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Il Leonardo non ha costume di far molta letteratura, forse perchè troppi ne fanno o piuttosto perchè non ce n'è. Ma come fare a non dir nulla del libro di un amico, illustrato per giunta da un altro amico?
Del resto il pretesto per parlarne in una rivista che passa per filosofica c'è: il volume di Corradini contiene una favola Dell'aquila e del ragno (pp. 261-267) la quale è proprio da lui consacrata ai filosofi. Si tratta di un ragno il quale, capitato sul dorso di un'aquila, vede infinite meraviglie e medita di narrarle fra i suoi compni, ma quando vuol ricondursi in patria, l'uccel divino lo divora con tutta la sua saviezza. A quanto pare c'è qui tutta una critica della filosofia: critica del fonte del sapere, che non deriva dai contemplativi ma da gli attivi, critica dell'orgoglio filosofico il quale crede di precedere mentre altri lo trascina, critica dell'inutilità dei pensatori destinati a esser vittime e cibo dei potenti.
Una critica, come si vede, tutta morale e metaforica, la quale potrebbe valere se tutti i filosofi fossero dei piccoli ragni, solo occupati a ricoprire il mondo delle loro fragili tele. Ma il Corradini sa che vi son filosofi di un tipo assai diverso, filosofi-lupi, i quali, come le buone aquile ch'egli ama tanto, preferiscono mangiare all'esser mangiati.
Ma in questo suo odio contro il pensiero puro chi non vedrebbe un carattere di razza? Il Corradini è un romano, un perfetto romano, il quale invece di condurre una legione od organizzare una provincia, si trova a scrivere dei drammi e degli articoli. Si consola rappresentando quel che non può fare; Cesare è suo amico e la repubblica imperialista romana il suo ideale. Anche in questo volume le cose migliori sono, per me, le favole o leggende antiche, come L'Isola di Caino, L'ultima notte di Sardanapalo e la Favola degli uccelli, della battaglia e dell'Arciere.
In quest'ultima soprattutto c'è un vigoroso ansito epico, e la scene é nitida e forte come un bassorilievo. Vi si scorge l'uomo che ama Eschilo, Dante e la maschia scultura della rinascenza, l'uomo antico, primitivo, barbaro nel suo furore di lotta, nella sua rudezza e nella sua superba ignoranza. Enrico Corradini, in questi tempi di delicatezze idilliache e raffinate, umanitarie e sapienti, è un anacronismo. Potremmo lodarlo di più?
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